Intervento di Giancarlo Giudici al Quarto Laboratorio del Credito per le imprese (Udine, 24 ottobre 2013)

Grazie dottor Calugi, ringrazio di cuore il Consorzio Camerale e la Camera di Commercio di Udine per questo invito… è sempre un piacere tornare a Udine e ritrovare vecchi amici, fra cui anche qualche ‘vecchio’ studente.

Nel mio intervento – che sarà molto breve per recuperare il ritardo – mi soffermerò in particolare sul tema dei ‘mini-bond’ e argomenterò sulla DIMENSIONE di questo mercato e se questo mercato CREA VALORE. Come richiesto, farò una breve digressione per introdurre le novità apportate in questi ultimi mesi sul tema.

I mini-bond sono strumenti di finanziamento attraverso cui le PMI possono raccogliere capitale di debito direttamente sul mercato mobiliare, in alternativa rispetto al tradizionale circuito del debito bancario. L’idea è molto semplice: così come le grandi imprese possono (e lo hanno fatto intensamente negli ultimi tempi) andare direttamente sul mercato collocando strumenti finanziari raccogliendo direttamente dagli investitori, perché non dare le stesse possibilità alle PMI, a fronte di un mercato del credito sempre più difficile e sempre più costoso, sia a causa dei criteri di Basilea 2, sia a causa della crisi finanziaria? Seguendo questa linea i due ‘Decreti Sviluppo’ dell’anno scorso hanno introdotto diverse semplificazioni e agevolazioni per le PMI che intendono finanziarsi attraverso questo canale. Borsa Italiana ha inoltre aperto un listino specifico per questi titoli, l’ExtraMot-PRO. Infatti, per le PMI è molto difficile emettere obbligazioni per ‘n’ motivi. Innanzitutto le PMI sono meno conosciute dal mercato, le asimmetrie informative sono maggiori e quindi il rischio di investimento è più alto. Secondariamente, le PMI possono offrire collocamenti di dimensione ridotta, che raramente interessano agli investitori istituzionali. Per contro, il vantaggio di potersi affrancare almeno parzialmente dal potere contrattuale delle banche è decisamente interessante.

Arrivo quindi alla domanda iniziale: quanto vale questo nuovo mercato? Secondo quanto pubblicato dal Sole 24 Ore, vale 21 miliardi di euro. In Italia le imprese del settore industriale (manifatturiero e servizi, escludendo banche assicurazioni e società finanziarie, ed includendo invece il commercio, visto che è presente qua Carlo Sangalli!) sono indebitate verso le banche per 850 miliardi di euro. Se escludiamo le grandi società quotate in Borsa, scendiamo a circa 700 miliardi di euro. Le statistiche oggi, come abbiamo sentito dall’intervento del dottor Calugi, ci dicono che c’è un ‘gap’ che caratterizza l’Italia rispetto agli altri paesi europei sul vincolo finanziario delle PMI: esse fanno ‘troppo’ affidamento al debito bancario, e la percentuale è superiore alla media europea di circa il 10%. Applicando quindi questo ‘gap’ del 10% ai 700 miliardi di euro arriviamo quindi a 70 miliardi di euro… chiaramente si tratta di un limite massimo… in questo numero potenziale c’è di tutto, e non tutte le imprese saranno interessate. La stima del Sole 24 Ore è dunque ragionevole. AI mini-bond sono in primis interessate le 90.000 PMI che fatturano fra i 2 e i 50 milioni di euro, di cui circa la metà appartengono al settore manifatturiero-industriale. Si tratta quindi di una platea molto ampia, decisamente più ampia di quella che caratterizza il crowdfunding. Come abbiamo sentito dall’intervento precedente, l’equity crowdfunding è riservato alle start-up innovative, che in Italia sono oggi poco più di 1.200. Se anche ognuna di esse raccogliesse capitale attraverso il crowdfunding, il mercato non varrebbe comunque più di 500 milioni di euro.

Ora: è un mercato che può creare valore? La mia risposta è: sì, se il processo di raccolta sarà correttamente ‘ingegnerizzato’. Finora infatti abbiamo visto uscire allo scoperto solo alcuni pionieri, con poche e piccole emissioni. E lo dico sotto quattro punti di vista: le regole, gli investitori, l’educazione finanziaria e il mercato del credito. Cominciamo dalla regole. Come annunciato dalla stampa, e come anticipato l’altro giorno in una conferenza tenuta a Milano dal dottor Firpo del MISE, il prossimo decreto ‘Destinazione Italia’ dovrebbe introdurre ulteriori novità per i ‘mini-bond’: la possibilità di emettere titoli garantiti da asset tangibili come immobili e impianti, l’eliminazione della ritenuta fiscale per i fondi che investono in mini-bond, facilitazioni per il processo di cartolarizzazione delle emissioni, ovvero la possibilità per gli investitori di ‘impacchettare’ i mini-bond delle piccole imprese per creare una massa critica che possa interessare gli investitori nazionali ed esteri e consentire di diversificare il rischio sfruttando la diversificazione, la possibilità per le assicurazioni di sottoscrivere i mini-bond. Si tratta di regole che vanno benissimo e consentono di ‘equiparare’ credito bancario e obbligazioni.

Secondo, gli investitori. Molti argomentano che sul mercato mancano investitori specializzati e interessati nei mini-bond. Io non sono d’accordo… ho provato a rintracciare tutti gli annunci usciti sulla stampa di nuovi fondi mirati sui mini-bond e sono arrivato a oltre 1 miliardo di euro. Se le cifre sono quelle dette prima, possiamo iniziare bene.

Terzo, una educazione al sobrio e sano mercato. Non illudiamoci sul fatto che non ci saranno default e bolle speculative. La prima bolla speculativa di cui si ha notizie risale al Rinascimento, con i bulbi di tulipano in Olanda. Le bolle ci sono sempre state e ci saranno… ricordate gli anni ’90 e i titoli Internet? Quante società ‘dot-com’ sono fallite? E’ importante che da una parte sponsor e consulenti portino al mercato imprese sane e guidate da imprenditori capaci (come tante ce ne sono in Italia, ed è per questo che gli investitori stranieri sono molto interessati), e che dall’altra gli investitori siano coscienti del rischio di questi strumenti. Peraltro ricordo che gli scandali sui maxi-bond non sono mancati, con maxi-perdite.

Infine, consentitemi di fare un cenno sul mercato del credito. Come spesso accade in Italia, si guarda alla pagliuzza e non si vede la trave. Non sono un esperto di diritto, ma mi dicono – e qui mi interessa sapere poi il parere degli altri relatori – che in Italia c’è una legislazione bancaria molto penalizzante, che impedisce a grandi gruppi di acquistare debiti delle imprese dalle banche, e rende quindi meno efficiente sul mercato. Mi si dice che in Europa questa situazione esiste solo in Italia e in Austria (e quindi voi che siete proprio nel mezzo siete parecchio sfortunati). Perché non si dà la possibilità a questi potenziali players di entrare nel mercato, cosa oggi impedita?

Concludo osservando che il tema del finanziamento per le PMI è importantissimo, ma ancora più importante è consentire alle PMI di fare gli INVESTIMENTI. A cosa serve finanziare le imprese se poi esse non investono? Ogni giorno parlo con imprenditori che hanno progetti interessanti ma non riescono a farli perché hanno problemi con la burocrazia, con i suoi tempi e riti, con l’incertezza delle competenze fra enti locali, con i ritardi della giustizia. Lo dico perché qui ci sono molte persone, imprenditori e non, che possono avere voce in capitolo nel chiedere riforme che – a costo zero per lo Stato – potrebbero veramente fare la differenza. Grazie.