Il pensierino
di Giancarlo Giudici
Il decreto Bankitalia,
ovvero la fiera delle grandi sparate
“Privatizzazione
di Banca d’Italia”, “regalo alle banche”, “espropriate le riserve”, “porcata”,
“trasferimento di risorse dai contribuenti alle banche”, “truffa contabile”…
questi sono solo alcuni dei titoli apparsi nei giorni scorsi sui giornali e sui
social networks, a commentare la
definitiva conversione in legge (in extremis) del D.L.
30/11/13, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 gennaio.
Quanto c’è
di vero in questi slogan? Come vedremo, ben poco per essere generosi.
Innanzitutto
nello stile ‘politecnico’ che ci ispira, partiamo dai dati di fatto, cioè il
testo della legge. La parte che riguarda Banca d’Italia è negli articoli 4,5 e
6.
L’articolo 4
stabilisce che la Banca d’Italia è “autorizzata ad aumentare il proprio
capitale (oggi pari a euro 156.000, mai cambiato né rivalutato dal 1936)
mediante utilizzo delle riserve statutarie all'importo di euro 7.500.000.000”.
Questa operazione, fatta a volte anche da società private, è assimilabile ad un
aumento di capitale gratuito. Un’operazione di questo tipo
consiste in una semplice trascrizione contabile, in cui si sposta una cifra
dalle riserve al capitale sociale, senza che vi sia alcun incremento o
decremento del patrimonio netto (composto appunto da capitale sociale +
riserve). Per chi non è pratico con il bilancio (come probabilmente quasi tutti
i parlamentari) potremmo fare questo esempio. Supponiamo di avere due conti
correnti aperti presso una banca. Su un conto corrente abbiamo versato i nostri
risparmi accumulati che pensiamo di non utilizzare mai se non per necessità
davvero eccezionali (il capitale sociale), sull’altro conto corrente abbiamo
versato i nostri risparmi che invece pensiamo di utilizzare più frequentemente
(le riserve). Se ad un certo punto decidiamo di trasferire del denaro dal
secondo al primo conto, siamo forse più ricchi di prima? No. Abbiamo forse
espropriato una qualche ricchezza? No, perché nessuno si ritrova dopo questa
operazione con più denaro di prima. Non a caso l’operazione si chiama ‘aumento
di capitale gratuito’. Anzi, le ‘odiate’ banche dovranno pagare un’imposta pari
al 12% della rettifica di valore delle partecipazioni, che a tutti gli effetti
viene contabilizzata come ricavo straordinario. Quindi lo Stato e la
collettività incasseranno dei soldi dell’operazione.
Ad oggi, gli azionisti di Banca d’Italia sono una cinquantina di
banche, più INPS e INAIL. I gruppi Intesa San Paolo e Unicredit, a seguito
delle fusioni fra banche avvenute negli ultimi anni, detengono insieme il 52%.
Quindi anche la privatizzazione è un argomento farlocco. Le banche sono e
resteranno gli azionisti di Bankitalia che, dice il
Decreto, è un ‘istituto di diritto pubblico’. Esse
peraltro non potevano, non possono e non potranno intervenire sulle scelte di
vigilanza e di politica monetaria. Le partecipazioni che queste banche
detengono sono iscritte nei loro bilanci (nell’Attivo di Stato Patrimoniale), a
determinati valori (peraltro molto diversi!): Banca Marche valuta la singola
quota 2.765 euro, Unicredti 4.311 euro, MPS 57.600
euro, Banca
Carige valuta le sue 11.869 quote 79.956 euro cadauna (pag. 41 del Bilancio),
ovvero più di quanto stabilisce il nuovo Decreto Legge (7,5 miliardi / 300.000
quote = 25.000 euro). Nessuno si è però mai scandalizzato.
L’operazione
di aumento di capitale gratuito effettuata da Banca d’Italia consente una
rivalutazione CONTABILE di queste quote e ne ammette la trasferibilità. Ciò
vuol dire che le Banche possono rivalutare (anche qui con una semplice trascrizione
contabile, senza giri di denaro) le partecipazioni detenute in Banca d’Italia e
utilizzarle come valore chiaramente identificabile grazie alla trasferibilità.
Questo ha l’effetto di migliorare i loro indicatori di natura patrimoniale.
Indicatori che in base agli
accordi internazionali devono essere mantenuti sempre sopra una certa
soglia, per tutelare chi affida i risparmi alle banche. L’operazione descritta
aiuta quindi le Banche italiane? Sì. Consente loro di mantenere più facilmente
gli indicatori sopra una certa soglia, e quindi indirettamente (anche se non
è automatico) di essere più inclini a concedere prestiti ad esempio alle
PMI e alle famiglie. È un regalo alle banche? Alle banche come detto non viene
dato un euro. Nulla cambia rispetto ai loro investimenti e impieghi. Non c’è
stato alcun flusso di denaro verso le banche. Anche qui facciamo un esempio per
chi non è avvezzo alla partita doppia. Pierino ha 10 euro in tasca, e in più ha
delle figurine il cui valore non è ben determinabile sul mercato. La nonna gli
vieta di acquistare caramelle per più di metà del valore contabilizzato di
quanto possiede. Chiaramente in questa situazione potrà spendere solo 5 euro in
caramelle, poiché il valore delle figurine non è oggettivamente chiaro.
Improvvisamente esce una legge (di questo si tratta!) che stabilisce che le sue
figurine valgono 4 euro e possono essere scambiate. Adesso Pierino potrà
comprare caramelle per 7 euro, perché il valore contabile delle sue attività è
cresciuto. Lui però non è più ricco né più povero di prima. Sempre quello ha in
tasca.
L’articolo 4
disciplina anche la possibilità per Banca d’Italia di pagare dividendi agli
azionisti, a valere sugli utili netti da attività bancaria, limitandola al 6%
del capitale (quindi 6% di 7,5 miliardi euro = 450 milioni euro all’anno).
Trattasi comunque di un valore massimo, non di un dividendo garantito come
hanno scritto taluni. Ci si scandalizza perché si teme che Bankitalia
vada progressivamente a depauperare le riserve distribuendo utili alle banche.
Si tratta in generale di un processo alle intenzioni, perché rientra nei doveri
fiduciari di ogni amministratore tutelare l’integrità del capitale. Inoltre i
dividendi – a quanto si legge nel Decreto – possono essere correlati solo agli
utili netti e non alle riserve accumulate nel passato. Interessante notare che la percentuale
del 6% è il valore adottato anche dalla Federal Reserve
negli USA. Lo
Statuto finora in vigore di Bankitalia consentiva
(art. 54) la distribuzione di dividendi per massimo il 6% del capitale, più un
altro 4%, più un altro 4% delle riserve (art. 56). Poiché il capitale ammontava
a 156.000 euro e le riserve ordinarie e straordinarie a circa 15 miliardi,
teoricamente Banca d’Italia avrebbe potuto distribuire ogni anno 600 milioni
euro, ovvero più di quanto potrà distribuire adesso!! Ça va sans dire, la nostra banca centrale non si è mai spinta a
tanto, e
nel 2012 ha distribuito alle banche solo 67 milioni di euro (si veda l’ultima
pagina del Bilancio ufficiale) e allo Stato dieci volte tanto. Non si
capisce in base a che cosa possano o debbano cambiare questi orientamenti. Di
certo non a causa del Decreto Legge che non impone alcun dividendo minimo o
garantito, e anzi addirittura RIDUCE il massimo dividendo consentito.
Il Decreto
conferma poi che possono essere azionisti di Banca d’Italia banche,
assicurazioni, fondi pensione, istituti di previdenza, fondazioni, purchè siano soggetti italiani. Essi potranno detenere una
quota non superiore al 3%. Francamente non vedo perché questa situazione sia
meno desiderabile rispetto a quella odierna, in cui due grosse banche detengono
la maggioranza assoluta (peraltro senza alcun potere di nomina o di decisione).
Questo naturalmente implica che molte banche dovranno progressivamente cedere
parte delle loro quote, per scendere al 3%.
Inoltre si
stabilisce che la Banca d’Italia può temporaneamente riacquistare le proprie
azioni, per facilitare nel transitorio il raggiungimento della soglia del 3%
“con modalità tali da assicurare trasparenza, parità di trattamento e
salvaguardia del patrimonio della Banca d'Italia, con riferimento al
presumibile valore di realizzo”, e riferendo ogni anno alle Camere su quanto
sopra.
Quanto alle
riserve auree, il Decreto Legge non interviene su questo aspetto e quindi nulla
cambia.
Spero che
sia chiaro, adesso, come tante delle cose che si sono dette, sentite e lette
possano essere considerate a buon diritto fuori luogo, e un tantinello
pretestuose. Forse si può spendere il tempo in modo più proficuo, specialmente
se si occupa un posto in Parlamento (o sul tetto del Parlamento).
1 febbraio 2014
<- I tanti
spread di cui dovremmo occuparci (4 gennaio 2014)
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