Il pensierino
di Giancarlo Giudici
Grecia (1): numeri, fatti e dati per
capire, prima di tutto
Non potevo
non scrivere qualcosa sulla Grecia, e quindi eccoci qua.
Il tema però
è talmente complesso che mi riservo di integrare le prossime righe mano a mano
che informazioni, segnalazioni e suggerimenti dai lettori emergeranno;
innanzitutto è fondamentale dare una risposta ad alcune questioni ‘tecniche’:
1. A quanto ammonta il debito della
Grecia?
2. Chi sono i creditori?
3. Perché siamo arrivati a questa
situazione?
4. Quali sono le analogie e le
differenze rispetto ad altre crisi già viste, come l’Irlanda, Cipro, il
Portogallo?
5. Quali i possibili scenari dopo il
referendum del 5 luglio?
Cominciamo
dal debito greco. A fine marzo 2015 il debito del governo centrale greco
ammontava a € 312,7 miliardi (circa un ventesimo di quello statunitense, o - se
preferite - un settimo di quello italiano! Teniamo però conto che il prodotto
interno lordo italiano, PIL, è quasi 10 volte quello della Grecia). Un valore
davvero troppo consistente per un piccolo paese, e infatti nessun
altro Stato europeo mostra un rapporto debito/PIL superiore. Solo il Giappone è
messo peggio.
All’arrivo
della mezzanotte del 1/7/2015 (una di notte in Grecia) lo
Stato ellenico non ha rimborsato una tranche del prestito fornito dal Fondo
Monetario Internazionale, per un importo di € 1,5 miliardi. Una cifra tutto
sommato modesta, che rappresenta lo 0,5% del debito totale, e impallidisce
davanti ai buchi lasciati da Parmalat
(un buco da € 14 miliardi) e Lehman Brothers ($ 300
miliardi di debiti al fallimento).
Ed arriviamo
alla seconda questione: chi sono i creditori di questo miliardo e mezzo? Come
scritto sopra, il Fondo Monetario Internazionale (nella figura sotto, IMF). Ma
si tratta di una goccia nel debito complessivo, che come detto è pari a oltre €
300 miliardi, prestato per quasi la metà da Germania, Francia e Italia. La
Banca Centrale Europea stessa (ECB), che fra l’altro oltre a finanziare il
debito pubblico ha
aperto linee di credito per le banche greche come per nessun altro paese
dell’area Euro, vanta un credito di oltre € 18 miliardi verso il Governo.
Le banche private detengono circa € 30 miliardi di debito. La cosiddetta
‘Troika’ (ECB, IMF e Unione Europea) detiene quindi circa il 76% del debito.
Dal 2010 ad
oggi, i paesi UE hanno fornito linee di credito alla Grecia per circa € 200
miliardi attraverso un programma denominato ‘European Financial Stability
Facility’ a tassi compresi fra 0,7% e 1,6%. Qui
ci sono tutti i dettagli. Risorse addizionali sono arrivate dal Fondo
Monetario Internazionale per € 21 miliardi (fra cui appunto il prestito non
rimborsato). Ecco
i dettagli.
Come siamo
arrivati a questa situazione? Nel 2001 la Grecia viene ammessa nell’Euro-zona (non
senza qualche
polemica su presunti artifizi contabili necessari) e l’Euro sostituisce la
dracma. I dati (si vedano le Figure) mostrano che inizia un periodo
particolarmente favorevole per la Grecia. Il PIL cresce più della media UE, il
rendimento dei titoli di Stato greci si allinea con quello degli altri paesi
europei, ma gli sforzi per ridurre il deficit pubblico, approfittando del ciclo
favorevole, sono insufficienti. La terza figura mostra come il disavanzo di
bilancio annuale si mantiene sempre sopra il 4%. Come dire, ogni anno il
Governo greco incassa 100 dai cittadini, e spende più di 104. Una pratica molto
ben conosciuta anche in Italia. E la differenza da dove arriva?
Dall’indebitamento! La Grecia del resto ha la possibilità di raccogliere denaro
dagli investitori attraverso i propri titoli obbligazionari a tassi ‘tedeschi’!
La terza figura mostra chiaramente l’aumento lineare dello stock di debito
pubblico dal 2008 in avanti. Va anche sottolineato che oltre al Governo, sono
stati anche i cittadini
privati a ricorrere, forse in maniera anche più massiccia, all’indebitamento,
ben prima del 2008.
Ma da cosa è
originato questo deficit strutturale? Perché la Grecia non riesce a tenere
sotto controllo il proprio bilancio?
Innanzitutto
va sottolineato che la bilancia
commerciale della Grecia è strutturalmente in passivo, ovvero ogni anno la
Grecia importa merci e servizi per un valore superiore a quanto riesce ad
esportare, finanziandolo con debito. Il Paese non è dunque riuscito a trovare,
dopo l’ingresso nell’Euro, un suo vantaggio competitivo che potesse assicurare
competitività sui mercati internazionali, senza la possibile leva della
svalutazione dato il cambio fisso dell’Euro.
In secondo
luogo la Grecia era solita spendere molto più di altri Paesi in settori quali
la difesa
(nella NATO è al secondo posto dopo gli USA), le pensioni (in Grecia si
andava in pensione fino a pochi anni fa a 57 anni, i barbieri
anche a 50 anni poiché maneggiano sostanze pericolose e nell’Unione
Europea nessun paese spende di più per le pensioni). A fronte di questo,
sono mancate ingenti risorse nelle entrate per l’elevata
evasione fiscale (si stima una perdita di gettito annuale di € 20 miliardi)
e per la dilazione
nei pagamenti delle imposte e la difficoltà di riscossione (si veda anche questa
immagine), per l’alto
livello di corruzione e per le mancate
privatizzazioni.
Ottobre
2009: mentre i greci pensano più che altro alla qualificazione ai mondiali
del Sudafrica, il governatore della Banca Centrale annuncia
che i conti pubblici mostrano segnali preoccupanti: il deficit statale
(ovvero la differenza fra uscite e entrate) potrebbe attestarsi intorno a
€30/40 miliardi, ovvero 10%/12% rispetto al PIL (ben oltre i famosi ‘parametri
di Maastricht’ concordati nel 1992, che fissano il tetto al 3%). Questa
informazione viene resa pubblica appena dopo le elezioni parlamentari, vinte
dai socialisti, che erano all’opposizione del precedente governo conservatore.
Il nuovo governo annuncia una serie di misure, sia per ridurre il deficit, sia
per stimolare l’economia interna. La cattiva notizia infatti è che la crescita
economica greca si è fermata, e arrivano i primi segnali di recessione, dopo
che la crisi finanziaria globale ha determinato l’inizio di una profonda crisi
produttiva-industriale. Da questo momento in avanti, la Grecia entra in un
pesante ciclo negativo come mostra la Figura, con tassi di disoccupazione
preoccupanti (in pochi anni dal 10% al 25%).
I mercati
cominciano a pensare che i titoli di Stato greci forse non sono così sicuri: il
loro prezzo sul mercato scende e i rendimenti richiesti (il famoso ‘spread’)
comincia a salire. L’effetto
si diffonde in maniera contagiosa verso altri Stati europei con problemi di
bilancio pubblico, fra cui l’Italia e la Spagna.
Nel maggio
2010 la Grecia dopo avere varato un piano di austerità, con aumenti dell’IVA e
delle accise e tagli a stipendi pubblici e pensioni, concorda un
primo salvataggio da parte dei partner europei, con
un prestito di € 80 miliardi ridotto poi a € 77,3 miliardi perché la
Slovacchia si è rifiutata di partecipare, così come l’Estonia, mentre Irlanda e
Portogallo hanno avuto problemi simili e da ‘aiutanti’ sono diventati
‘aiutati’, più € 30 miliardi finanziati dal Fondo Monetario Internazionale.
La
situazione rimane però drammatica, visto che il deficit pubblico greco nel 2011
raggiunge il 13% del PIL. Nel giugno 2011 viene approvato un nuovo
piano di austerità, condizione imposta dalla UE per ottenere nuovi aiuti.
In ottobre
2011 la Grecia concorda un secondo prestito di salvataggio per ulteriori € 130
miliardi, offerto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla UE (‘Second
Economic Adjustment Programme for Greece’); gli investitori privati
accettano un taglio del 50% del debito detenuto, per un importo di € 100
miliardi. Viene formato un governo di unità nazionale per fronteggiare
l’emergenza, sostenuto da socialisti e conservatori.
Le misure di
austerità accettate dalla Grecia non risolvono il problema della crescita
economica. Nel 2014 sembra arrivare qualche
dato incoraggiante, tanto che la Grecia torna
a collocare con successo titoli di debito, ma si tratta di un brevissimo
bagliore, tanto che il secondo semestre 2014 riporta la Grecia in recessione.
Nel gennaio 2015 le elezioni anticipate portano alla vincita del partito Syriza
e Tsipras diventa capo del governo. Il
suo programma elettorale (non ho trovato il programma ufficiale in inglese,
viene commentato in altri siti)
prevede la richiesta ai creditori di un nuovo taglio del debito e un piano di
ricostruzione nazionale (incentrato in realtà non tanto sugli investimenti
produttivi quanto sui sussidi alla popolazione). Dopo la vittoria di Tsipras, i
creditori della odiata ‘Troika’ accettano
comunque un rinvio di 4 mesi del termine per rinegoziare nuovi accordi sul
debito. L’accordo in realtà non si troverà.
Il resto è
cronaca recente ampiamente documentata dai media. Tsipras chiede di rinviare il
rimborso del prestito in scadenza, ma i governi dell’Euro-zona si oppongono,
chiedendo invece di riequilibrare il bilancio statale, con più entrate fiscali
e più tagli sulle spese. Ecco il
comunicato originale dei principali creditori (Fondo Monetario
Internazionale, BCE e Unione Europea) con la proposta formale (in fondo alla
pagina linkata trovate il
pdf con la lista di dettaglio). In sostanza i creditori, prima di mettere
in discussione gli impegni presi in passato, chiedono di: aumentare le aliquote
IVA, disincentivare i pre-pensionamenti, eliminare alcune esenzioni fiscali per
le isole, portare l’età del pensionamento a 67 anni entro il 2022, tagliare
alcuni sussidi ai pensionati. Tsipras non accetta le condizioni (soprattutto
perché un nuovo taglio del debito non viene accettato), la trattativa viene
interrotta e convoca un referendum per domenica 5 luglio, chiedendo ai greci se
vogliono approvare la proposta dei creditori (SI) oppure bocciarla (NO).
Il clamore suscitato
dalla vicenda ha forse fatto dimenticare che il salvataggio della Grecia non è
una novità assoluta: già altri paesi come Russia e Argentina hanno affrontato
le stesse vicissitudini e complesse trattative con i creditori. Limitando
l’attenzione all’Unione Europea, consideriamo ad esempio l’Irlanda, il
Portogallo e Cipro.
Nel novembre
2010 l’Irlanda ha chiesto il supporto all’Unione Europea per far fronte alle
ricapitalizzazioni delle proprie banche, in grave
dissesto a seguito della crisi finanziaria, ottenendo € 62 miliardi dalla
‘Troika’. La crisi era dunque circoscritta al settore bancario, e non
riguardava il debito pubblico.
Nell’aprile
2011 è
la volta del Portogallo. Stavolta il salvataggio riguarda proprio il debito
pubblico, con un intervento della ‘Troika’ con prestiti per € 79 miliardi. Come
per la Grecia, l’intervento è accompagnato da un intervento di riduzione della
spesa pubblica, e di ristrutturazione del debito. Il programma di supporto si è
chiuso nel maggio 2014, senza bisogno di ulteriori interventi.
Cipro
chiede l’aiuto dell’Unione Europea nel giugno 2012. Nel 2013 viene siglato
un accordo che prevede un prestito della Troika da € 10 miliardi, necessario
per salvare le banche cipriote, e per la prima volta la controversa
compartecipazione al salvataggio da parte dei correntisti delle banche
cipriote.
Torniamo
alla Grecia. A mio avviso l’esito del referendum ha una valenza esclusivamente
politica. Non a caso i nostri politici si interessano della questione a
dismisura, mentre dei due precedenti salvataggi della Grecia (cui l’Italia ha
contribuito in misura significativa, dietro a Francia e soprattutto Germania)
non è fregato niente a nessuno. Comunque vada, dal giorno dopo si lavorerà per
trovare l’ennesimo accordo. Anche perché il
20 luglio scadono titoli di Stato greci, detenuti dalla Banca Centrale
Europea, per € 3,46 miliardi. Se lo Stato non li rimborserà, anche la Banca Centrale
Europea potrebbe limitare il supporto alla Grecia finora assicurato. E così,
altre scadenze arriveranno in futuro.
Per arrivare
all’ultimo punto (quali scenari si aprono), mi limito a tracciare alcuni spunti
per le prossime riflessioni:
1.
La crisi del debito greco parte nel 2009, dall’incapacità dei governi
allora in carica di rispettare gli impegni presi con i partner europei e di
portare il bilancio pubblico ad un livello di sostenibilità, anche al costo di
una scarsa trasparenza sulla reale situazione dei conti; la colpa non è certo
dell’Euro, che anzi come mostrano i dati ha offerto l’opportunità alla Grecia
(purtroppo mal-utilizzata) di accedere a tassi di indebitamento convenienti
2.
Le istituzioni europee e i governi europei hanno tentato di rimandare il
problema, pensando (e sbagliando) che piani di austerità potessero favorire la
sostenibilità del debito, anche in un contesto di recessione; l’effetto è stato
quello di aggravare il problema; la miopia dei leader europei ha spinto la
Grecia in un tunnel senza via d’uscita, quando invece occorreva una terapia ben
diversa (accettare da subito un consolidamento del debito e avviare misure
concrete di rilancio dell’economia)
3.
Il nuovo governo greco di Tsipras ha fatto promesse elettorali che non è
stato in grado di mantenere (e con quali soldi pensava di mantenerle, avendo le
casse vuote?), si è rivelato inadeguato mentre la gravità della situazione
richiedeva probabilmente un governo tecnico e di unità nazionale più
autorevole, che avesse come primo obiettivo il rilancio degli investimenti
4.
La Grecia rimarrà nell’Euro e comunque il costo del suo salvataggio (in
realtà il suo terzo salvataggio) non sarà molto diverso da quello che si è consumato
in altri casi (e si consumerà nei prossimi); a mio modesto avviso un’uscita
della Grecia dall’Euro sarebbe dannosa soprattutto per i greci; speriamo che
tutti i protagonisti della vicenda facciamo un esame di coscienza pensando al
futuro della popolazione; solo la solidarietà internazionale potrà aiutare
veramente il popolo greco;
5.
L’intera vicenda è un caso di studio che tutti i politici italiani (di
governo e di opposizione) nonché chi parla di ‘diritti acquisiti’ dovrebbero
imparare bene, per il futuro, in tutti i suoi aspetti.
Ah, poco fa
(sabato 4 luglio) il ministro delle finanze greco Varoufakis ha bollato come
‘terroristi’ i creditori di cui sopra, che dal 2010 ad oggi hanno comunque
assicurato centinaia di miliardi di linee di credito ai governi greci, compreso
il suo. E sono anche soldi di noi italiani.
4 luglio 2015
<- Il decreto BankItalia,
ovvero la fiera delle grandi sparate (1 febbraio 2014) ************ Il pensierino può
essere commentato dai miei amici su Facebook.